La vera “belva”? «Da imprenditore e napoletano, dico che lo è chi riduce Napoli al solito cliché»

NAPOLI – «La storia personale e il percorso social della signora Rita De Crescenzo, per quanto possano finanche essere interessanti dal punto di vista sociologico e televisivo, restano una vicenda individuale. Non possono essere assunti a emblema della realtà napoletana. Quello che davvero è insopportabile è che nel 2025 una certa televisione da un lato e una certa opinione pubblica dall’altro finiscano per far assurgere a esempio di appartenenza territoriale e sociale un singolo. Come a voler dire che Milano sia tutta Fedez, o che Torino coincida con le dirette di Chiara Ferragni: improponibile, non trovate?».
Lo afferma, non senza rammarico, l’imprenditore partenopeo Enrico Ditto. Il riferimento è alla coda di polemiche che si è lasciata dietro di sé la presenza della tiktoker Rita De Crescenzo alla trasmissione “Belve” condotta da Francesca Fagnani. «Da imprenditore e napoletano, dico che la belva è chi riduce Napoli al solito cliché. La tendenza a ridurre Napoli a pochi volti familiari, spesso scelti per la loro forza spettacolare più che per il loro valore rappresentativo, è limitante, offensiva e tradisce un corretto racconto che chi si professa giornalista dovrebbe perseguire», rincara. «Napoli è una metropoli millenaria, un crocevia di culture e talenti che non si lascia contenere in una singola narrazione. Trasformarla in un personaggio è un’operazione superficiale e ingiusta», prosegue Ditto.
Da questa posizione nasce un appello rivolto al servizio pubblico e alle principali redazioni nazionali: «Interrompere la logica dello Sputtanapoli, l’abitudine a raccontare la città attraverso stereotipi, folclore o marginalità. Una rappresentazione parziale che, per esigenze di audience, sacrifica la complessità sociale ed economica di un territorio in continuo movimento».
Dietro l’immagine facile di una città-spettacolo, sottolinea Ditto, esiste un tessuto vivo fatto di competenze e innovazione: università e centri di ricerca che producono conoscenza, start-up e imprese che competono sui mercati internazionali, artisti e professionisti che alimentano la cultura e l’economia del Paese. Accanto a questo, una rete fitta di volontariato e di impegno civico che quotidianamente lavora per la coesione sociale.
«Questa pluralità non è avulsa dalla costruzione dell’immagine di Napoli. Ed è su questa pluralità che i media dovrebbero tornare a posare lo sguardo, al posto di dimenticarla costantemente», conclude Ditto. «Napoli non è un monologo mediatico: è una città collettiva, e merita di essere raccontata come tale»