Anche la Lazio fa la voce grossa con gli azzurri: ora la champions diventa un miraggio.

Il Napoli non c’è più. La squadra di Mazzarri, che giurava vendetta e un pronto riscatto dopo i tre schiaffi subiti nella cocente sconfitta di Torino, si è sciolta come neve al sole d’agosto in un amaro Sabato Santo all’Olimpico di Roma, contro una modesta Lazio quasi incredula di fronte ad un avversario inetto e per lunghi tratti della gara svogliato e privo di idee. Qualche lampo di calcio (ci prova il Pocho a predicare e portare la croce ma il resto della squadra non lo segue nonostante il gol del pareggio sia una delizia firmata dalla premiata ditta Lavezzi – Pandev), poi nulla più. Un passo ancora più indietro rispetto alla gara di Torino (dove il Napoli non ha proprio giocato e tutto sommato la sconfitta è arrivata contro i probabili campioni d’Italia), perchè a Roma sponda biancoceleste la sensazione è stata ancora peggiore: la Mazzarri Band (che fu) è stata tramortita da un’avversario men che mediocre, incerottato e claudicante, insomma poca cosa e che ha fatto il minimo sindacale per avere la meglio sull’avversario.

Che si sarebbe trattata dell’ennesima disfatta lo si è capito subito e nemmeno a Reja pareva vero di poter fare un sol boccone della sua ex squadra: ci si è messo per primo De Sanctis (sempre più incerto e passivo nella sua area piccola e persino tra i pali) dopo soli 8′ a non trattenere un pallone senza pretese e telefonato per il vantaggio laziale, poi l’orrendo Marekiaro degli ultimi tempi che per fortuna non è riuscito a mandare Rocchi in porta con un passaggio in orizzontale davanti alla difesa che nemmeno ai pulcini nelle scuole calcio avrebbero perdonato, e infine Inler a dare il là con un retropassaggio da harakiri ai ciociari per il terzo gol. In uno stadio vestito a festa per le grandi occasioni e commosso nel ricordo di Giorgio Chinaglia si è consumata l’ennesima debacle azzurra, la seconda in soli sette giorni, dove le note de o’ surdato nnammurato echeggiavano dagli spalti ma solo perchè intonate dal pubblico di fede laziale che scherniva festante i tanti napoletani accorsi nella capitale in cerca di (vana) gloria. Come a Torino, sperando che non accada mai più!

Qualcuno si aggrappa al rigore (netto) non fischiato sull’uno a uno quando forse la partita poteva cambiare la sua storia, altri alle tante assenze che hanno inciso sulla formazione titolare, ma la verità a questo punto della stagione è una sola e sotto gli occhi di tutti: il Napoli è cotto e a meno di una pronta Resurrezione (e di un contemporaneo crollo proprio dei ciociari e dell’Udinese)  il cammino per il terzo posto sembra ormai più che compromesso. Fine della favola, the end, è questo l’epilogo della stagione che sembra ormai scritto come accadeva al termine dei film di qualche anno fa, solo che il lieto fine per i tifosi azzurri stavolta non c’è. Il giocattolo sembra essersi rotto (e irreparabilmente) proprio dalla maledetta partita di Londra, dall’uscita dalla competizione continentale che ha di colpo fatto perdere smalto ad un gruppo che invece sembrava scoppiare di salute fino al giorno prima. Una partita che sta facendo cambiare letteralmente il corso di una stagione.

Delusione? Appannamento fisico? Errori di formazione commessi dall’allenatore? Sirene dall’estero per i TreTenori? Quale sia la risposta non si sa, sta di fatto che debbono ritenersi tutti colpevoli, dal presidente al magazziniere, nessuno escluso. Dalla disfatta di Torino avevano promesso un pronto riscatto, giurato fedeltà alla maglia e voglia di regalare nuove soddisfazioni ai tifosi stregati dalla champions. E invece è andata come sappiamo, con una nuova prestazione indecente che ha regalato come dono pasquale l’ennesimo spettacolo indecoroso ad una tifoseria che ovunque – in Italia e in europa – non ha mai fatto mancare l’apporto alla squadra. Se poi i tenori o chi per loro sembrano essere in odore di trasferimento il discorso cambia e aggrava ancor di più la posizione delle primedonne: nessuno rimanga a Napoli senza stimoli (e senza aumento di ingaggio), non vogliamo scontenti, poi sarà il presidente a rispondere del suo operato e del fatto che la città vuole finalmente vincere e che per vincere ci vogliono i campioni.

Nel finale di campionato la rimonta appare ormai disperata (anche se le restanti gare da giocare non sembrano affatto proibitive per un squadra, però, che stia quantomeno in salute) e a questo punto potrebbe risultare saggio tentare di recuperare energie in vista della finale del venti maggio (Cavani è il fantasma di se stesso e come lui buona parte della squadra dei titolarissimi) che rimane l’obiettivo per salvare la stagione. Arrivare quarti o sesti cambia poco e soprattutto l’Europa League non è la Champions League. Almeno che non arrivi il filotto di risultati utili consecutivi e la contemporanea e necessaria caduta delle antagoniste la coppa dalle lunghe orecchie resterà un miraggio per la prossima stagione. Sette vittorie per riprendere il sogno, così come accadeva nei film in bianco e nero di qualche anno fa, quando la scritta the end racchiudeva spesso il lieto fine.