Youth – Prendersi troppo sul serio

Mick e Fred sono amici da praticamente tutta la vita. Giunti alla veneranda età di ottanta anni decidono di regalarsi un periodo di vacanza in un tranquillo hotel nei pressi delle Alpi svizzere. Dopo una vita costellata di successi, si trovano entrambi a dover affrontare una crisi che è sia personale, sia artistica. Sono costretti a prendere consapevolezza dell’inesorabile scorrere del tempo che non lascia scampo all’uomo o all’artista.
Dopo il successo de La Grande Bellezza, che ha il merito di aver portato in Italia la tanto agognata statuetta del cinema, giunge in sala il nuovo film di Paolo Sorrentino. Ma se le vicende di Gep Gambardella si sono aggiudicate un così importante riconoscimento, hanno avuto anche come conseguenza una profonda frattura all’interno del pubblico: tra chi ha detestato il film e chi difende Sorrentino a spada tratta, lamentando una mancanza di comprensione da parte dei detrattori. La nuova pellicola si presta ancora una volta a questa profonda divisione, perché ancora una volta quello messo in scena da Sorrentino è un cinema manierista, con una coperta estetica di tutto rispetto, una fotografia e movimenti di macchina che ammaliano ed incantano, ma con un contenuto al di sotto delle promesse visive. Come ne La Grande Bellezza e in This Must Be The Place prima ancora, le figure che celano significato, le velleità artistiche e spirituali ci sono tutte, ma, viste da vicine, si rivelano scontate, a volte banali, se non stucchevoli. Si avverte una tendenza al prendersi troppo sul serio, un eccesso di autorialità. Non basta la presenza di un cast internazionale di tutto rispetto composta da Micheal Caine, Harvey Keitel e Paul Dano per risollevare le sorti dell’opera. Siamo lontani dal cinema di Fellini, palese ispirazione del cinema più recente del regista, ma anche dalla bellezza dei suoi primi lavori, a parere di chi scrive, più spontanei, più onesti intellettualmente. “Non ho proprio niente da dire, ma lo voglio dire lo stesso”, citando appunto 8 e mezzo di Fellini.’ Va detto che quello di Sorrentino è un tipo di cinema che si ama o si odia, nel bene o nel male che quindi fa parlare di sé. E questo è un gran merito.

Andrea Ruberto