Esclusiva NN24 -Edoardo Bennato si racconta. Il grande artista partenopeo parla di musica, arte e di sociale

“C’è una netta differenza tra la musica cosiddetta ‘leggera’ e la musica Rock. La prima serve per distrarsi, divagare, affrontando temi che si tengono lontani dalle insidie e dai problemi della realtà, in fondo questo è il suo scopo”.

Queste le prime parole della lunga ed esclusiva chiacchierata con il grande cantautore e musicista italiano e napoletano, Edoardo Bennato.  Parole dette a cuore aperto che rileggendole ci lasciano affascinati nell’ascoltare la sua storia.

“Il Rock invece si nutre dei problemi, delle contraddizioni, degli squilibri della vita, delle tensioni sociali e dei paradossi che ci circondano nel tentativo di, laddove è possibile, ‘scardinare’ luoghi comuni, finte morali, false verità. Io suono musica Rock! Ho cercato sempre di affrontare queste tematiche in maniera provocatoria, soprattutto utilizzando l’arma dell’ironia, già dalla prima ora in brani come: ‘ma che bella città’: Una canzone che qualcuno ha definito ‘Proto-Punk’ (Il Punk vedrà la luce qualche anno dopo in Inghilterra) ma anche in ‘Salviamo il salvabile’ che a suo tempo diventò uno slogan, oppure in brani come “Uno buono” dedicato al Presidente della Repubblica del tempo. In quella canzone lo “invitavo”, visto che aveva l’accento marcatamente del sud, a farsi carico della sua gente. Invece in “Arrivano i buoni” ironizzo su chi è arrivato al potere. Sono i buoni che hanno eliminato i cattivi e che, a differenza loro, risolveranno i problemi che hanno fino a quel momento afflitto l’umanità. Sia chiaro: tanto mi permetto di fare ironia perché prima di tutto ironizzo su me stesso. Nel brano “Cantautore” prendo in giro il ruolo, quasi messianico, a cui era assurto appunto, il “Cantautore”. In conclusione in quegli stessi anni nella canzonetta “Affacciati, Affacciati” presi in giro addirittura il Papa, non il Papa del tempo, ma il suo ruolo nei secoli. La canzone fu censurata, non dal Vaticano ma dalla radio ufficiale Italiana, il Vaticano era molto più avanti! Devo dire che il mio impegno verso il pubblico resta quello di veicolare i miei testi attraverso il Rock, non rinunciando alla spettacolarità, cercando di dare buone vibrazioni, soprattutto avendo cura di tenere sempre alto il livello artistico musicale e non è una cosa semplice da fare! Quando a 18 anni andai a Milano per frequentare la facoltà di Architettura, sia ben chiaro che non lo feci perché la facoltà di Napoli fosse meno prestigiosa, ma semplicemente perché a Milano c’erano le case discografiche ed io mi ero messo in testa che volevo fare musica. Dunque fu una gavetta lunghissima, anni duri ma esaltanti, alla fine ottenni un contratto discografico con la Ricordi (prestigiosa etichetta discografica)  preparai il mio primo disco : “non farti cadere le braccia” all’interno c’erano canzoni del tipo: “Un giorno credi, una settimana un giorno , detto tra noi, rinnegato, campi flegrei”, fui aiutato negli arrangiamenti soprattutto degli archi dal grandissimo Roberto de Simone, un eminenza grigia della musica Italiana universalmente riconosciuto come un maestro. Pensai: Edoardo ci sei riuscito! Invece dopo 3 mesi il direttore della Ricordi mi convocò e mi disse:“Edoardo il disco è nei negozi ma non vende, noi non abbiamo nulla di cui rimproverarci, tu fai L’università? Bene! Laureati e diventa architetto! “ Mi diede il benservito. Fu allora che presi atto di una regola che mi ha accompagnato per tutta la mia carriera artistica, cioè: non è importante quanto siano belle le canzoni che scrivi ma è fondamentale che i media ne parlino e che le radio le trasmettano per farle ascoltare al pubblico, altrimenti non esistono, non ci sono! Mi giocai l’ultima carta. Mi piazzai in strada a Roma, spalle ad un famoso Bar di fronte al teatro delle Vittorie che era in quota alla Rai per i grandi show del sabato sera. Sapevo che transitavano in quei pressi giornalisti, opinion Leaders, insomma quelli che decidono cosa ascoltare, come vestirsi etc. Oggi si chiamerebbero “Influencer”. Quindi con tutto il mio armamentario di “follia” cioè chitarra 12 corde, armonica a bocca, kazoo e soprattutto con un tamburello a pedale che mi ero costruito quando tornai da Londra dove avevo visto dei musicisti da strada che lo utilizzavano per dare maggior supporto ritmico alle canzoni, dunque iniziai a suonare One man Band. Mi guardai bene da fare Un giorno credi o una settimana un giorno, feci invece quei pezzi Punk di cui abbiamo detto prima: Ma che bella città, etc., etc. Venni notato da alcuni giornalisti di una testata settimanale che era la Bibbia Musicale dei giovani del tempo : Ciao 2001 , il direttore del giornale mi fece partecipare ad un festival di tendenza a Civitanova Marche. C’erano molti altri ‘colleghi cantautori’ insomma l’Élite della musica alternativa. Quando venne il mio turno salii sul palco e feci solo 3 o 4 canzoni . Quando scesi ebbi la netta sensazione che la mia vita era cambiata, perché quelli giù avevano decretato che potevo essere il rappresentante ideale dell’insoddisfazione giovanile in Italia e molti di voi che state leggendo, da allora compraste i miei dischi. Ebbi anche una sorta di piccola rivincita con il direttore della Ricordi: mi richiamò e disse che si poteva tentare un altro disco, il resto è storia! In conclusione: La “patente di cantautore” non l’ho avuta dal mondo ufficiale della musica, quello per intenderci della discografia, delle radio dei media in generale, per quel mondo sono sempre stato e forse lo sarò sempre, un’irregolare”.

(fine prima parte)

R.D.A.