Indivisibili – Separazione e crescita attraverso la sofferenza

Dasy e Viola, gemelle siamesi, condividono il bacino ed inesorabilmente anche le loro vite e le loro emozioni. La scena iniziale è sufficiente a descrivere con forza e tenerezza il vincolo che lega le due sorelle: stese sul letto, una delle due si masturba e l’altra, dormiente, ha una smorfia di piacere sul viso. La loro disabilità viene sfruttata sistematicamente da un padre snaturato e da una madre passiva e complice per trarne guadagno e dare sostentamento all’intera famiglia, zii compresi. Con l’ulteriore complicità del prete locale, le due gemelle presenziano come cantanti neomelodiche alle funzioni religiose del paese, incarnando la figura delle sante, ma trasformandosi di fatto in un fenomeno da baraccone. Tutto cambierà quando un medico, impietosito dai soprusi familiari che le ragazze sono costrette a subire, rivelerà loro che l’operazione per dividerle è fattibile. Ciò metterà in crisi il loro modo di vivere, che avevano sempre ritenuto l’unico possibile, e Dasy sentirà il bisogno di indipendenza e crescita individuale. A risentirne non sarà solo il vincolo con la famiglia, l’impresa che si regge sulla lucrabilità della simbiosi gemellare, ma anche il legame indissolubile tra le ragazze, con il conseguente allontanamento emotivo tra due persone fisicamente inseparabili. Eppure dividersi, anche se straziante, è possibile.

E’ una storia originale quella che ci viene proposta da Edoardo De Angelis, regista di Perez e Mozzarella Stories, nel suo nuovo film Indivisibili, vincitore del premio come miglior sceneggiatura alla 73ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. La figura del “freak” non è nuova nel cinema, un esempio su tutti The Elephant Man, la storia vera impressa su pellicola da David Lynch. Qui però le tinte sono molto diverse. Nel film di De Angelis a fare da sfondo, ma anche da protagonista, non è la Londra di fine ‘800 in cui John Merrick, l’uomo elefante, veniva sfruttato come attrazione per spettacoli di strada, bensì Castel Volturno, una periferia difficile, grottesca, popolata da personaggi loschi e di malaffare. Un attributo da cui la Campania riesce difficilmente a dividersi, legata a stretto giro a storie di sfruttamento e criminalità.
Il tema non è nuovo, ma la messa in scena è originale e sostenuta dalle convincenti interpretazioni di Massimiliano Rossi, Antonia Truppo e le esordienti Angela e Marianna Fontana. A sorprendere maggiormente sono proprio le due gemelle che hanno impiegato mesi a prepararsi per la parte, imparando a muoversi, camminare e nuotare come se fossero un solo corpo. Non ci sono effetti speciali, le due sorelle sono realmente attaccate attraverso una protesi artificiale prodotta dagli uomini di Makinarium, già addetti agli effetti speciali di Il racconto dei Racconti.

“E’ un film sulla separazione ed il dolore che comporta. Perché per crescere, a volte, devi farti del male” afferma il regista che, attraverso un plot mai scontato o banale, fornisce una riflessione su un tema forte che si tinge di nuovi colori.

Andrea Ruberto