Calcio e neoliberismo: mercati, regole, poteri.

Venerdì 27 maggio, alle ore 09:30 il Museo Archeologico di Napoli (MANN) ospiterà il convegno “Calcio e Neoliberismo. Mercati, regole, poteri”, organizzato dal network di ricercatori “Academic Football Lab”, dall’Università degli Studi di Napoli Federico II e dal CNR.
Studiosi provenienti da diversi atenei italiani e addetti ai lavori si confronteranno sulle caratteristiche principali del calcio contemporaneo, sulle logiche di mercato che ne orientano l’andamento e su quello che può essere il futuro di questo sport, tra Superlega, fondi privati d’investimento, la nuova formula della Champions League, ecc.

Parlare del calcio come di una realtà ad alta commercializzazione e spettacolarizzazione non vuol dire prendere semplicemente in considerazione l’esistenza di scambi economici al suo interno, che in fondo ci sono sempre stati, ma guardare ai processi finanziari come l’asse portante dei meccanismi che ne definiscono l’organizzazione e le trasformazioni.
Il calcio professionistico si organizza ormai prevalentemente secondo principi economici inderogabili. Le partite sono concepite come spettacoli che devono intrattenere e attrarre, meglio su scala globale, grandi quantità di audience e consumatori; club e leghe si comportano come corporations ad alto profilo manageriale e profondamente orientate al mercato; i calciatori sono celebrità che si trasformano in brand (alcune, come CR7, dall’enorme valore monetario); il giro di affari coinvolge media, aziende di vario tipo e muove ingenti capitali globali; ecc.
Ora, non è un caso, ad esempio, che per configurare un intrattenimento sempre più appetibile e orientato a sfruttare al massimo la capacità di attirare l’attenzione di audience variegate, il calcio abbia cambiato nel tempo regole, formati e programmazione. Oggi c’è il campionato spezzatino, il portiere non può bloccare la palla con le mani se la riceve da un compagno di squadra, gli arbitri hanno lasciato la divisa nera negli spogliatoi e indossano completi sgargianti, le riprese televisive si sono incuneate nello spazio un tempo sacro e inviolabile degli spogliatoi, si studiano inquadrature e grafiche accattivanti, e così via.
Il tutto (anche legittimamente) spinto da esigenze di mercato più che da valutazioni sul gioco in sé.
In più, ogni operazione di merchandising e di sfruttamento dei marchi è sempre bene accetta dagli operatori dell’industria del calcio.

Questo processo di trasformazione, in atto da tempo, ha avuto un’accelerata enorme negli anni Novanta. Tre sono stati i fattori determinanti: l’avvento energico delle pay tv con il loro gettito monetario, il cambiamento del formato della Champions League (spinto dai grandi club, desiderosi di un torneo più fruttuoso e con minori rischi di eliminazione specie nelle prime battute del torneo), la sentenza Bosman che ha liberalizzato la compravendita dei calciatori e la loro circolazione nelle squadre europee.
Le conseguenze sul piano sociale, politico, culturale sono innumerevoli. La più evidente è l’incremento sconfinato della distanza economica e sportiva tra i top club con capitali globali e le squadre a dimensione più ridotta, tanto nei campionati nazionali che nei tornei internazionali. Il calcio ha sempre premiato soprattutto i più ricchi e potenti, ma oggi le possibilità di vittoria di squadre meno blasonate si sono assottigliate ulteriormente (davvero rare le eccezioni). Questo ampliamento delle disuguaglianze è frutto di un meccanismo che prevede pochi dispositivi di riequilibrio delle forze in campo – previsti, ad esempio, dal modello di sport americano, più che altro perché da quelle parti la vendibilità dello spettacolo sportivo conta molto sul fascino dell’equilibrio competitivo e dell’incertezza dei risultati.
La Superlega, che alcuni club hanno proposto anche per gravi motivi di bilancio, sembra in linea con questi principi: i grandi club costruiscono uno spettacolo calcistico sempre più accattivante, per attirare audience, capitali e ricavi maggiori, distribuendo poco alle squadre ai margini del sistema. Con quali garanzie di evitamento di nuove e ulteriori impennate dei costi (ad esempio per gli stipendi dei calciatori) difficile prevederlo.
In ciò, il PSG, con l’affare Mbappè, sembra aver elaborato una contromossa ancora più estrema, con un portato dirompente nell’attuale geografia politica del calcio internazionale.
Intanto di Fairplay finanziario, cioè del dispositivo che doveva calmierare la deregolamentazione, non se ne parla più…

Eppure il calcio è un’industria molto particolare, per tanti motivi. In primo luogo perché il risultato economico deve comunque fare i conti con il risultato sportivo, anche se la lealtà della passione di tanti tifosi è molto più solida delle alterne vicende sul campo. Poi perché è vero che il fan è considerato soprattutto come un consumatore, ma i fattori comunitari, identitari non scompaiono e non sempre sono funzionali al profitto.
In più, è vero che il calcio configura molteplici aree di business per diversi attori economici (procuratori e top player in testa), ma ha generato anche un indebitamento enorme dei club. Da non trascurare il fatto che, per i grandi gruppi economici, l’ingresso nel mondo del calcio è funzionale soprattutto ad assecondare la ricerca di mercati collaterali, lo spostamento di capitali, il perseguimento di logiche geopolitiche più ampie, ecc.
E siamo in un mondo e in un’industria in continua trasformazione. L’ultima novità dello scenario calcistico globale è il prepotente ingresso di fondi di investimento, ovvero capitali dal volto incerto che si muovono alla ricerca di profitto. Si è capito quello che, comunque, si sapeva da tempo: il migliore affare nel calcio, per chi vuole guadagni vertiginosi, è presumibilmente quello di comprare e rivendere un club dopo un aumento del valore del marchio (non sempre legato alle vittorie). Cosa questo comporti per la solidità economica di una squadra e quali garanzie ci sono per il riconoscimento delle istanze degli appassionati è ancora da capire.

Questi e altri saranno gli argomenti principali del convegno di venerdì al MANN, che nasce con l’idea che studiare il calcio vuol dire dotarsi di utili lenti attraverso cui leggere il mondo contemporaneo.

Luca Bifulco

Professore di sociologia dello sport

Facoltà di Scienze sociali Federico II