Il nuovo desiderio di Napoli: caffè e barista napoletano come patrimonio Unesco

Napoli lancia una nuova sfida: dichiarare un’arte Made in Naples, quella del caffè, patrimonio Unesco. Come è accaduto con la pizza e con la figura del pizzaiolo napoletano, ecco che parte un nuovo obiettivo e si intende con tutte le forze dargli forma.

Antonio Ferrieri, presidente della Confederazione della piccola e media industria privata, intende creare addirittura un percorso di formazione per il barista napoletano. Il corso di formazione, un vero laboratorio lavorativo e didattico, andrebbe a formare una figura competente riconosciuta in tutta la Nazione e nel Mondo.

Insomma, questo faciliterebbe anche l’inserimento nel mondo del lavoro e aiuterebbe molti giovani a sviluppare nuove competenze, ad approcciarsi al settore della ristorazione e gastronomico con più fiducia e a guardare al mondo del commercio e dei dipendenti di bar e locali con più rispetto e curiosità.

Il barista a Napoli è una figura tradizionale e innovativa, è amico, uomo, padre, è un artista che crea ogni mattina tazze dall’aroma prelibato e ci tiene ad utilizzare la famosa macchina a braccio che rende l’aroma unico e non bruciato, a differenza delle macchine semiautomatiche più utilizzate fuori Napoli. Napoli è la città che statisticamente parlando consuma più caffè in Italia, a Napoli il caffè è rito, una scusa, un appuntamento, una promessa. I baristi a Napoli si tramandano l’arte del caffè di padre in figlio, di famiglia in famiglia, da anni ormai si susseguono generazioni di baristi.

E allora perché non dare impulso ad una scuola del caffè, come la intende Antionio Ferrieri, ove inserire giovani che non hanno una preparazione familiare? Tutto questo gioverebbe alla Campania, a Napoli in primis ma soprattutto ad una categoria che finalmente vedrebbe riconosciuto un valore ampio ed importante, che merita di essere esternato altrove e apprezzato. Sarebbe davvero bello vedere che oltre la pizza e il pizzaiolo, anche il caffè e la figura del barista, vengono riconosciuti come beni dell’umanità.

Teresa Beracci