I riciclatori

L’imprenditore che denuncia il racket riceve un appalto diretto con il Comune per un valore che può arrivare fino al milione di euro. L’iniziativa è dell’assessore alla legalità del Comune di Napoli, Giuseppe Narducci, pm in aspettativa, grande conoscitore delle dinamiche criminali al sud. Proprio per questo, Narducci ha capito che la camorra va morsa in testa. E in testa, la camorra, ha fondamentalmente una cosa. Il denaro. Va colpita lì. Quando qualcuno, per menare vanto di combattere la criminalità, fa l’elenco dei latitanti arrestati, è fuori strada. Non sono gli arresti di fuggiaschi cotti e stracotti a segnare il successo nella lotta al crimine. Questi spesso sono addirittura consegnati dai clan rivali o dagli stessi affiliati, che non riescono più a proteggerne la latitanza. La lotta ai clan si fa prosciungandoli del loro sangue, cioè i soldi, perchè, come vampiri moderni, di questo si nutrono.

Denaro, e niente altro.

Ogni giorno che passa, la camorra, a Napoli e provincia, fattura decine di milioni di euro. Due le fonti principali: droga e racket. I soldi sono tutti in contanti. Nessuno paga la dose, o la tangente, col bancomat. Decine di milioni di euro in biglietti.

Banconote legate all’elastico giallo e ammucchiate in buste di plastica della spesa. A fine giornate si contano, si distribuiscono, si spendono, si investono. A questo servono i colletti bianchi. In città c’è una moltitudine di professionisti che, pur essendo formalmente onesta, in realtà è complice. Aiuta la camorra a ripulire e riciclare denaro. Come? Con la consulenza finanziaria, con la gestione d’impresa, con la conduzione di ditte. Sono commercialisi, bancari, commercianti, imprenditori. Una zona grigia e vasta, molto più pericolosa e funzionale dello spacciatore e del killer, che nell’immaginario collettivo sono, a torto, i simboli della camorra.

No, il vero motore della camorra sono i riciclatori del denaro, quelli in giacca e cravatta, quelli che la sera mangiano nei ristoranti della Napoli bene, che vanno a teatro e sono iscritti ai circoli dei club esclusivi. Se provi a interrogarli su questo, ti rispondono che loro sono professionisti, fanno il loro mestiere, non sono poliziotti, non devono per forza sapere da dove vengono i soldi che gestiscono. E invece, la cosa li riguarda. Perchè c’è un filo rosso, e insidioso, tra quello che succede per strada, nei mille singhiozzi criminali di questa città, e quello che loro organizzano negli studi professionali.

L’iniziativa di Narducci ha il merito di prendere il toro per le corna, e di dire che anche un Comune può fare la sua parte. Non si amministra una città facendo finta che la camorra non esista. Non si amministra “nonostante” le mafie. Si amministra contro, sempre contro. E Narducci – ma non poteva essere diversamente per la sua storia – mostra di saperlo e di volerlo. Dire ad un imprenditore che, se denuncia il racket, può avere un appalto diretto dal Comune, significa lanciare un messaggio al territorio. Denunciare non solo è giusto, ma conviene. Conviene in termini generali, perchè in una società risanata si investe, e si lavora, meglio. Ma conviene anche in termini particolari, perchè ti arriva un appalto, perchè non sei spazzato via, perchè ti vengono dati gli strumenti per continuare ad esistere.

Al Comune, però, bisogna dare un consiglio finale: facciamo in modo che l’imprenditore che ha denunciato e che ha avuto l’appalto, sia pagato, poi, per il lavoro svolto, in tempi rapidi.

Con l’aria che tira, magari si ritrova prima a denunciare il racket, e poi a lavorare per il Comune senza essere pagato. Perchè qui, la tagliola è spesso doppia. Ad una camorra arrogante fa da riflesso, come in uno specchio deforme, uno Stato cialtrone.

Antonio Menna